
FINANZA COMPORTAMENTALE
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Cos’è
La finanza comportamentale è un campo della finanza che unisce alle teorie finanziarie classiche alcuni elementi di psicologia cognitiva. In campo finanziario, la teoria classica, in estrema sintesi, si basa sull’assunto che gli operatori agiscano in modo razionale, cioè impiegando tutte le informazioni disponibili e con l’obiettivo di massimizzare l’utilità. Quindi, i mercati sarebbero in grado di esprimere in modo veloce ed economico tutta l’informazione rilevante attraverso i prezzi, che rappresenterebbero in modo corretto il valore intrinseco delle attività finanziarie.
Nella maggior parte dei casi questo in effetti accade, ma non sempre la teoria classica riesce a spiegare il comportamento degli investitori finanziari perché questi, spesso, adottano atteggiamenti irrazionali. Gli investitori, secondo l’analisi comportamentale delle loro azioni, quindi, commettono diversi errori, e li ripetono nel tempo, prendendo decisioni di investimento che non li porteranno a massimizzare la propria utilità. Di conseguenza, anche il prezzo delle attività finanziarie a volte non esprime esattamente il loro reale valore. Anche eventi finanziari di portata notevole possono essere conseguenza di questi comportamenti irrazionali.
Proprio per spiegare queste situazioni si è sviluppata la cosiddetta finanza comportamentale (behavioral finance), che esamina le decisioni degli investitori finanziari anche sotto l’aspetto psicologico. La finanza comportamentale nasce intorno agli anni cinquanta attraverso gli studi di diverse correnti di pensiero e diviene una vera e propria teoria a partire dalla seconda metà degli anni settanta quando due professori di psicologia, Amos Tversky e Daniel Kahneman (Nobel per l’economia nel 2002) ne gettano le basi in maniera organica. Gli esperimenti condotti permisero alla finanza comportamentale di acquisire il titolo di vera e propria teoria della finanza, che mise in discussione alcuni fondamenti della teoria classica, dando una descrizione precisa dei comportamenti degli individui quando operano in situazioni di incertezza. Applicando concetti che sono propri delle scienze sociali, della sociologia e della psicologia, la finanza comportamentale spiega come gli investitori spesso commettano errori che possono portare anche al verificarsi di bolle speculative. Sicuramente la teoria classica rimane la linea guida, ma la finanza comportamentale riesce a spiegare alcuni fenomeni ed anomalie alle quali essa non darebbe risposte.
Di seguito, accennerò ai principali errori che questa interessante disciplina ha messo in evidenza e come questi errori, a livello individuale, si traducano spesso in scelte di investimento sbagliate.
Inizieremo quindi a porre le basi per evitare di incorrere in questi errori.
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Errori e Rimedi
Abbiamo visto che le scelte d’investimento vengono guidate non solo dalla razionalità, ma anche da fattori psicologici, cognitivi ed emotivi. È per questo che si può incorrere in errore. Secondo l’approccio comportamentale, questi errori possono essere “catalogati” perché comuni alla maggioranza degli individui.
Ecco i principali errori cognitivi che, a ben guardare, troviamo essere tutti correlati in qualche modo tra loro. L’overconfidence: l’eccesso di sicurezza. L’eccessivo ottimismo, che porta a sovrastimare la probabilità di esiti favorevoli rispetto a quelli infausti. Legato ai precedenti errori, è l’errore di conferma, a causa del quale si dà eccessivo peso alle opinioni che confermano il proprio punto di vista, rispetto a quelle contrarie. Poi, una volta presa la decisione di investimento, si può invece incorrere nell’errore di attribuzione, per cui se qualcosa va male si dà sempre la colpa agli altri o ad altri. Quest’errore ci impedisce di trarre invece esperienza dagli errori commessi, che quindi poi ripeteremo nel tempo.
Entrano in gioco anche le emozioni, per prima il rimpianto di aver preso una decisione sbagliata, che può condizionare le scelte successive. La paura di prendere una decisione sbagliata per poi rimpiangerla può arrivare a bloccare le scelte di investimento e portare all’inazione (non faccio niente, lascio i soldi in conto, almeno non sbaglio, e non avrò rimpianti). O ci può portare a imitare passivamente i comportamenti di massa, pensando che sia meglio rispetto ad agire da soli. Alla sfera dell’emotività appartengono anche l’home bias, quando si preferiscono investimenti in zone territorialmente più vicine, perché meglio note (ricordiamo gli investimenti nelle banche locali!); l’illusione del controllo su fenomeni per loro natura incontrollabili (p.e. l’andamento del prezzo di un bene o titolo) e lo status quo bias, quando si preferisce non prendere decisioni che implichino un cambiamento (tanti azionisti delle Banche Venete non hanno voluto cambiare, seppure messi in guardia dal pericolo!).
A causa della complessità delle scelte di investimento, spesso si ricorre a scorciatoie mentali, che in finanza comportamentale vengono definite “euristiche”. Le principali sono tre: la disponibilità, cioè farsi condizionare dalle informazioni più facilmente reperibili, anche se spesso non sono complete ed esatte, a volte addirittura prive di fondamento; la rappresentatività, secondo la quale gli individui associano spesso un evento specifico ad uno stereotipo (Un uomo in giacca e cravatta sicuramente è laureato), ritenendolo quindi generalmente valido; e l’ancoraggio, che porta ad ancorarsi a una certa credenza o valore iniziale di riferimento, che però può non essere più valido.
A questi, vanno aggiunti anche i condizionamenti affettivi, che spesso guidano le scelte d’investimento.
Ogni comportamento, poi, deve essere inquadrato in un contesto (framing) che guida le decisioni. In questo ambito, gli errori più comuni sono l’avversione alle perdite, per cui il dispiacere per una perdita è maggiore del piacere di un guadagno, e l’avversione alla perdita certa, per cui si preferisce a volte mantenere posizioni eccessivamente rischiose pur di non andare incontro a una perdita immediata.
Come organizzarsi, quindi, in un contesto che ci rende così difficile operare delle scelte?
La finanza comportamentale individua, ad esempio, nella consulenza in materia di investimenti lo strumento attraverso il quale ridurre il divario tra scelte praticate e scelte ottimali, secondo le prescrizioni della teoria classica. La consulenza è stata qualificata come “l’attività prescrittiva il cui obiettivo principale consiste nel guidare gli investitori nel processo decisionale nel loro migliore interesse” (Kahneman e Riepe, 1998). In linea teorica, si può ragionevolmente supporre che sia nell’interesse del consulente instaurare un rapporto stabile e duraturo con la propria clientela e, dunque, cercare di correggere gli errori cognitivi.
Secondo le indicazioni della finanza comportamentale, anche l’investor education può risultare efficace rispetto agli errori di valutazione che discendono sia dalla scarsa cultura finanziaria (caratteristiche dei prodotti, relazione rischio/rendimento ecc.), sia dall’utilizzo di regole approssimative per la comprensione dei problemi. Il consulente si frappone, anche emotivamente, tra l’investitore e le sue scelte di investimento e può aiutare il cliente a orientarsi nell’ambito di un flusso di informazioni eccessivo, a interpretare correttamente le informazioni a prescindere dalle modalità di presentazione, ad attirare l’attenzione su elementi che, pur essendo molto rilevanti, sfuggono tuttavia alla percezione dell’investitore.
Lo sviluppo di un’attività di consulenza fondata sulla logica del “servizio al cliente” sembra costituire, dunque, un complemento indispensabile per il potenziamento dell’efficacia delle norme regolamentari a tutela dell’investitore e per il contenimento degli errori comportamentali più diffusi. Gli studiosi di finanza comportamentale hanno indicato i temi rispetto ai quali i consulenti dovrebbero adoperarsi per orientare correttamente le scelte dei clienti, con particolare riferimento agli errori cognitivi derivanti dall’utilizzo delle euristiche e dal peso dei fattori emotivi (Kahneman e Riepe, 1998).
Laura Barbieri